[ITA] Giro d’Italia #specialjerseyaward: Carmine Castellano
Carmine Castellano ha ottantadue anni e trenta di essi li ha dedicati al Giro d’Italia. Ha seguito la Corsa Rosa ininterrottamente dal 1976 al 2005; per 17 volte ne è stato il responsabile organizzativo. Per undici mesi l’anno agiva come una specie di esploratore: Castellano era alla continua ricerca di novità. Sfogliava atlanti, consultava amici ed esperti, viaggiava. Il suo obiettivo era cercare ogni anno qualcosa che aggiungesse al Giro curiosità, attesa, discussioni. O anche solo “un po’ di pepe”, come lo definisce lui.
Portare il carrozzone del Giro d’Italia in luoghi nuovi e mai battuti prima non è una sfida semplice, soprattutto perché – come spiega Castellano – “il Giro è una persona educata, e non va in casa d’altri senza essere invitato”. Qualche volta invece capita che gli inviti arrivino sotto forma di incontri piuttosto casuali. Nel 1988, qualche settimana dopo il celeberrimo passaggio del Giro d’Italia sul Passo Gavia nel mezzo di una tempesta di neve, l’avvocato Castellano era a cena in un albergo di Sondrio. Si era appena concluso la seconda edizione del Trofeo dello Scalatore.
“Vennero da me due amici”, ricorda l’ex-direttore del Giro. “Uno dei due era Mario Cotelli, commissario tecnico della nazionale italiana di sci negli anni della ‘valanga azzurra’. Mi dissero che non lontano da lì c’era una salita tostissima, più dura sia dello Stelvio che del Gavia. In più, dettaglio fondamentale, questa salita non arrivava ai 2000 metri di altitudine: lassù il cattivo tempo sarebbe stato meno frequente che sugli altri mostri del Giro”. La leggenda del Passo del Mortirolo cominciò a prendere forma la mattina successiva: “Partimmo alle 7. Questi due amici mi dissero: ‘Carmine perdi un’ora, ma vieni a vedere ‘sto Mortirolo…”
Fu un’epifania. 11.9 chilometri al 10.9% di pendenza media; una strada stretta che si inerpica in una serie di tornanti ripidissimi. Dopo circa tre chilometri di ascesa, superata la chiesetta di San Matteo, un muro con tratti tra il 18 e il 20% di pendenza. Castellano non vedeva l’ora di farlo conoscere al mondo: “Purtroppo per via della frana della Val Pola non potetti inserirlo già nel percorso del Giro 1989, e nel 1990 dovetti accontentarmi del versante più facile della salita, quello di Edolo. Ma l’anno dopo finalmente riuscimmo a fare il vero Mortirolo”.
Fu Franco Chioccioli il dominatore del Mortirolo (e della classifica finale del Giro) nel 1991, l’anno del debutto del versante più impegnativo. Pantani con la sua scalata nel Giro ‘94 contribuì in modo sostanziale alla costruzione dell’epica del Passo, poi sul Mortirolo sono passati in testa tra gli altri anche Gotti e Basso (due volte a testa), Belli e Kruijswijk. Quest’anno è stata la volta di Giulio Ciccone, non solo dominatore del Passo ma (intirizzito) trionfatore della tappa, a Ponte di Legno.
Il giornalista Marco Pastonesi ha scritto che “il Mortirolo è il Maracanà del ciclismo”; Claudio Gregori ha aggiunto che questa salita dal nome lugubre non è niente meno che “un pugnale”. Il Mortirolo è considerato all’unanimità una delle salite più arcigne d’Europa, insieme a Zoncolan e Angliru. Tuttavia il ‘signor Mortirolo’ assicura di non aver mai ricevuto lamentele da parte di corridori esausti: “Qualcuno ha avuto da ridire sul fondo stradale, ma nulla di più”, continua Castellano.
Oltre al Mortirolo, si devono a lui anche le introduzioni del Monte Zoncolan e del Colle delle Finestre, le altre due perle della sua carriera da deus ex machina del Giro d’Italia. Dopo i mesi in esplorazione dei possibili percorsi arrivavano le tre settimane della corsa vera e propria, passate quasi per intero con il busto fuori dal tettuccio della sua auto di direttore, una cinquantina di metri davanti al gruppo: “L’unico modo per dominare la situazione della corsa”. Il profilo di Castellano affacciato guardingo dalla sua auto è diventata un’immagine iconica dei Giri d’Italia degli anni ‘80 e ‘90: pioggia, neve o grandine lui era sempre lì. “Eppure non mi sono mai preso un raffreddore”, assicura. “Casomai era il sole a bruciarmi un po’ il naso, e a darmi fastidio la notte”.
Adesso che è in pensione, l’avvocato Castellano torna al Giro di tanto in tanto, soprattutto quando la corsa passa dalle parti di Sorrento, dove abita. “È come andare a salutare un vecchio amico”, spiega. Un amico che negli anni gli ha assicurato la riconoscenza degli appassionati di ciclismo di tutto il mondo – tutti tranne uno. Dopo la prima scalata al durissimo monte Zoncolan, da Castellano introdotta nel 2003, alla Gazzetta dello Sport arrivò infatti una lettera a lui destinata. Cominciava così: “Egregio avvocato, io il tu lo do solamente ai bambini, ai parenti e ai cretini, e lei non è né un bambino né un parente”. Continuava poi con una serie di improperi rivolti al direttore del Giro e al suo presunto sadismo nei confronti dei corridori. “Non gli ho mai risposto”, conclude Castellano. “Ma mi sono fatto un sacco di risate”.