[Ita] Giro d’Italia #SpecialJerseyAward: i cronometristi
La seconda maglia speciale Castelli, quella dedicata alla Wine Stage Rimini-San Marino va ai cronometristi del Giro d’Italia, persone quasi invisibili ma fondamentali in una tappa a cronometro e durante tutta la corsa rosa. Ecco i motivi.
Alla partenza di una prova a cronometro ogni ciclista è circondato. Una condizione apparentemente innaturale, per una prova che vede nella solitudine il suo principale significato. Eppure sul podio di partenza di una cronometro c’è sempre un gran traffico. Anche quando ormai si è posizionato in sella, pronto a lanciarsi giù dalla rampa e cominciare la sfida al proprio destino, ciascun corridore è obbligato a condividere quel momento con qualcun altro.
C’è tanto per cominciare un commissario di gara alle sue spalle che lo tiene in equilibrio, mano salda sotto la sella, aspettando di lasciare la presa al momento del via. Un individuo unico, una mano tra le cui dita passano i destini di oltre 160 corridori. Poi c’è anche un’altra mano, quella che fa capolino in tutte le immagini televisive mentre scandisce il conto alla rovescia con le dita. Di solito è un uomo che compare a tre quarti, spalle alla telecamera e mano ben distesa. In altre occasioni meno ospitali, come sotto il diluvio della Riccione – San Marino, si nasconde più al riparo, ma la sua azione è sempre la stessa: 3, 2, 1, beeep.
Le corse a tappe sono una continua sfida contro il tempo, e non potrebbero esistere se non ci fossero le mani minuziose dei cronometristi. Figure mitiche e silenziose, i cronometristi sono il completamento dei giudici di gara: questi ultimi modellano lo spazio, i primi il tempo. Oggi i cronometristi sono una figura in mutazione. Di fatto, i cronometristi del ciclismo moderno sono delle macchine, tuttavia dietro alle macchine ci sono sempre degli uomini. Il camion piazzato all’arrivo dove alloggiano i cronometristi in carne ed ossa è un luccichio di schermi e led che si riflette sui volti degli operatori: persone qualificate a far lavorare le macchine, a impostare i dati, a seguirne il funzionamento secondo per secondo. Anzi, ogni millesimo di secondo.
A raccontarlo a parole, il sistema di cronometraggio sembrerebbe piuttosto semplice. Ma a seguire i cavi che trasmettono i singoli dati dei tempi dei corridori, si capisce presto come sia facile ingarbugliarsi. I tempi di ogni corridore sono rilevati dalle fotocellule sulla linea di partenza e su quella d’arrivo. Questi sistemi di rilevamento sono tutelati da ogni possibile inconveniente – o quasi. Perché per quanto nelle gare principali vi sia un contatto diretto tra rilevamento e segnale tv, non si può mai escludere un falso segnale: basta qualcuno che tocchi incautamente una fotocellula per far registrare un passaggio anomalo. Per questo motivo i cronometristi hanno un solo luogo da conservare intatto come un santuario: la linea di passaggio. Più la linea è protetta, sgombra, salvaguardata, più sicuro sarà il dato.
Il problema è che alle volte la linea non esiste, almeno fisicamente. Se una linea d’arrivo è già di per sé una costruzione ideale, quelle intermedie sconfinano quasi nell’irreale. Righe per lo più immaginarie che incidono nel reale della corsa. Al Giro 2019 accade con i Gran Premi della Montagna: in tutte e tre le prove contro il tempo previste vi è una salita cronometrata che assegna i punti per la classifica degli scalatori. Si tratta di una novità, una rilevazione in più, un tempo rilevato all’interno di un tempo. Una complessità che va ad aggiungersi a quelle che per i cronometristi sono giornate campali. E quando le macchine per qualche motivo sbagliano, una sola è la controprova: un’altra mano. In ogni corsa ciclistica, comprese le crono più importanti della stagione, c’è ancora una persona all’arrivo con un cronometro in mano, un dito che fa “clic” come è sempre stato. La rilevazione manuale è il paracadute dei cronometristi: non sarà precisa al millesimo di secondo – arriva al massimo al decimo – ma è ugualmente reale.
Quando guardiamo una cronometro in televisione ci concentriamo sulle pedalate dei corridori, sulle traiettorie, sui numeri che scorrono in un angolo indicandoci la relatività dello scorrere del tempo. La nostra osservazione segue una direzione come la corsa, eppure potrebbe anche procedere al contrario: risalire i cavi, saltare tra le cellule, ricomporre ogni numero attraverso il succedersi delle frazioni più minuscole del tempo. Sarebbe una crono differente, che comincerebbe e si concluderebbe sulle punte delle dita dei cronometristi, di chi dedica il tempo alla misura del tempo. A questa professione nascosta vi si dedicò anche Luciano De Crescenzo, misuratore in gioventù dei tempi nelle gare di atletica. Nel ricordare la propria esperienza, scrisse: “Fare il cronometrista mi aveva condizionato la vita: qualsiasi cosa facessi avevo sempre l’impressione che durasse troppo”. Clic.
Testo: Bidon – Ciclismo allo stato liquido
Immagini: Gruberimages